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La neurofibromatosi tipo 2 [NF2] è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante [MIM # 101000]. Fra le caratteristiche clinicamente rilevanti e preoccupanti della neurofibromatosi di tipo 2 ci sono gli schwannomi bilaterali del (VIII) nervo acustico/vestibolare e tumori multipli del sistema nervoso centrale (es., meningiomi, astrocitomi, ependimomi). Al momento, nonostante la ricerca scientifica di base in azione, non sono stati identificati farmaci in grado di fare regredire questi tumori cerebrali. Sono attivi diversi trial in cui vengono utilizzati farmaci noti a bloccare determinate molecole o processi cellulari “alterati” negli schwannomi o che bloccano la formazione di vasi sanguigni che permettono l’accesso del sangue alle cellule tumorali “alimentandole” (vedi clinicaltrials.gov). Il bevacizumab, recentemente approvato per il trattamento di questi tumori (per saperne di più leggere più avanti l’articolo: LA TERAPIA CORRENTE PER LA NEUROFIBROMATOSI DI TIPO 2), ha proprio questo meccanismo, ovvero blocca il VEGF che è una proteina essenziale per fare crescere i vasi sanguigni. Infatti, è usato per bloccare la crescita di altri tumori anche maligni. Il bevacizumab è pertanto l’unica opzione farmacologica disponibile, ma ha il difetto che è efficace solo durante il trattamento prolungato ed ha effetti avversi.

 

Una recente ricerca, pubblicata su Molecular Cancer Therapeutics e guidata da Saishri O. Blakeley [Matthias A. Karajannis et al. Phase 0 Clinical Trial of Everolimus in Patients withVestibular Schwannoma or Meningioma DOI: 10.1158/1535-7163.MCT-21-0143] ha investigato in che misura una molecola chiamato Everolimus, che si è rilevata essere promettente in studi in vitro ed in vivo, potesse essere tollerata dal nostro corpo. Quindi è stato pianificato uno studio iniziale chiamato di Fase 0, finalizzato a capire se l’Everolimus fosse assorbito dagli schwannomi vestibolari ed esercitasse la sua azione di inibitore. L’attenzione dei ricercatori si è focalizzata prima sulla valutazione di quanto il farmaco fosse in grado di oltrepassare la naturale barriera del cervello chiamata barriera emato-encefalica (o Blood Brain Barrier BBB) ed arrivare al tumore. Infatti, il cervello è protetto da una questa struttura intorno ai vasi sanguigni che funziona da protezione naturale alle sostanze estranee al corpo, e che talvolta funge da barriera anche ai farmaci. Secondariamente, gli scienziati si sono prefissati di verificare se l’Everolimus effettivamente entrasse nelle cellule tumorali e riuscisse a “colpire” il proprio bersaglio molecolare. Il suo bersaglio si chiama mTORC1 e per verificare l’effetto del farmaco, gli scienziati sono andati a vedere nelle cellule tumorali il grado di attivazione di una proteina attivata da mTORC1 stesso: la chinasi S6. I risultati della ricerca dimostrano che l’Everonimus, pur essendo presente nel sangue dei pazienti, non riesce a “disattivare” completamente questa proteina. Questo è stato interpretato come un effetto parziale del farmaco e spiega il limitato effetto antitumorale di everolimus osservato negli studi clinici per i pazienti con NF2. La sfida dei progetti futuri è quella di modificare la molecola in modo da renderla capace di passare la BBB e quindi aumentare la sua efficacia su meningiomi e schwannomi.

 

Se ci seguite su Facebook e sul sito sarete puntualmente aggiornati sugli esiti delle sperimentazioni cliniche sulla Neurofibromatosi di tipo 2, lo stato di approvazione dei nuovi farmaci da parte dell’agenzia americana del farmaco (FDA, Food and Drug Administration) e di quella europea (EMA, European Medicine Agency).